martedì 25 settembre 2012

Donne Sahrawi: "Just to let you know I'm alive"


"Un documentario sulla violenza contro le donne saharawi e l’impatto della guerra sulle loro vite. Un viaggio nel deserto, in Sahara Occidentale e nel Sud dell’Algeria, per raccogliere le loro voci e scoprire, attraverso i loro occhi, la storia dimenticata di un popolo." di Simona Ghizzoni ed Emanuela Zuccalà
Degja è stata prelevata con la forza da casa sua, in un pomeriggio del 1980, da quattro poliziotti in borghese. Gettata nel retro di una Land Rover, trasportata da una prigione segreta all’altra, ha trascorso 11 anni della sua giovinezza prigioniera e con gli occhi bendati, nella febbrile attesa dell’interrogatorio e della tortura.Anche Soukaina ha vissuto per 11 anni in una cella angusta. Dopo il suo arresto, la figlia minore è morta di stenti perché nessuno poteva prendersi cura di lei. Non aveva ancora compiuto un anno.Leila è una moderna Antigone, tormentata dall’impossibilità di dare sepoltura al corpo del fratello Said, morto nel dicembre del 2010. La famiglia non fa che chiedere al governo marocchino l’autopsia sul corpo del ragazzo, ucciso dalla polizia in circostanze ambigue. Ma nessuna risposta, finora, è mai arrivata. [Il corriereimmigrazione.it]
JUST TO LET YOU KNOW THAT I’M ALIVE (SOLO PER FARTI SAPERE CHE SONO VIVA) è un documentario di 25 minuti ritmato da video, musica e fotografie che, per la prima volta, dà voce alle donne saharawi vittime di queste violenze, sia in Sahara Occidentale che nei campi profughi in Algeria. Ricostruendo, attraverso le loro testimonianze, i diari, le vecchie fotografie, la storia del popolo saharawi da una prospettiva femminile e intima.Insieme all’amica fotografa Simona Ghizzoni, abbiamo viaggiato nei campi profughi algerini e in Sahara Occidentale, sperimentando in prima persona l’ossessivo controllo marocchino nel territorio occupato e l’estrema miseria in cui versano i saharawi rifugiati in Algeria. E, condividendo il tempo lento di queste donne, il rito del tè, la mancanza d’acqua e la scarsità di cibo, ci siamo rese conto che le loro vicende possono diventare simbolo di temi più universali: l’impatto della guerra sulla vita e l’anima dei singoli; l’alienante condizione dei profughi in ogni parte del globo; l’esistenza, ancora oggi, di muri che segnano confini artificiali e crudeli tra i popoli; la violenza contro le donne come arma affilata di strategie distruttive, com’è accaduto anche nell’est della Repubblica Democratica del Congo, in Darfur, in Libia, in Kashmir."La Fondazione americana The Aftermath Project ha finanziato le nostre spese di viaggio, grazie a un grant vinto da Simona Ghizzoni nel 2011. Ora, per completare la produzione del documentario, stiamo per sperimentare una nuova forma di condivisione in rete, già diffusa negli Stati Uniti ma ancora poco nota da noi: il crowd funding, una raccolta fondi attraverso internet. I lettori possono finanziare direttamente il progetto con una donazione libera a partire da 10 dollari, e ricevere in cambio una serie di “grazie” concreti: dal DVD del documentario a piccole stampe di Simona Ghizzoni; da seminari one-to-one sul giornalismo d’inchiesta e la fotografia di reportage a stampe in grande formato a edizione limitata, fino a comparire come produttori del video.Abbiamo scelto il sito www.emphas.is, specializzato in progetti multimediali di qualità. Saremo online a partire dal 24 settembre, per 60 giorni.Emanuela ZuccalàJUST TO LET YOU KNOW THAT I’M ALIVE
(SOLO PER FARTI SAPERE CHE SONO VIVA)
Di Simona Ghizzoni ed Emanuela Zuccalà
In collaborazione con la rappresentanza italiana della Rasd (Repubblica Saharawi Araba Democratica), con le ONG saharawi Afapredesa e ASVDH, con l’organizzazione culturale Zona (www.zona.org).
Con il contributo speciale di The Aftermath Project (www.theaftermathproject.org).